LIBRO del mese (marzo 2023) : Tara Westover, L'educazione
Recensione di Cinzia Sorvillo
Questo post è lungo lungo, ma è per parlare di un libro che non credo che dimenticherò facilmente e che consiglio a tutti.
Questo libro si intitola ‘L’educazione’ ed è un’autobiografia, un memoir di una ragazza statunitense, Tara Westover, che è quasi mia coetanea (io dell’81 lei dell’86), che come me deve moltissimo allo studio, ai libri e all’educazione, che è cresciuta in un mondo radicalmente diverso dal mio ma che allo stesso tempo ho trovato anche simile a me.
Non l'ho letto quando è uscito ed è stato pubblicizzato qualche anno fa perché non ero pronta, sapevo che mi avrebbe portato a fare un po’ di conti con alcune mie questioni, mi dissi che lo avrei letto quando ne avrei sentito il bisogno.
E il bisogno è arrivato proprio qualche giorno fa, quando mi sono imbattuta in una vicenda di fondamentalismo religioso e di catene familiari.
Dovevo immergermi in una storia che mi aiutasse a capire.
Acquisto il libro e lo leggo in pochissimo tempo.
È un capolavoro, una scrittura davvero potente e straordinaria.
Recalcati, che ha curato la prefazione all’edizione italiana, la definisce una storia paradigmatica: “Tara Westover dimostra una capacità di introspezione che distingue i grandi scrittori, creando una storia universale di formazione che mira al cuore di ciò che l’educazione ha da offrire: la prospettiva di vedere la propria vita con occhi nuovi e la volontà di cambiarla”.
Siamo tra le Montagne Rocciose, precisamente nello Stato dell’Idaho, il luogo in cui si svolge l’infanzia e l’adolescenza della vita di Tara: Buck Peack per la precisione.
Montagna, campi di grano selvatico, pascoli, boschi, strade di campagna, cavalli selvatici, spazi immensi e il ciclo immutabile delle stagioni: il caldo appiccicoso dell’estate, il gelo dell’inverno, la neve che imbianca la montagna e il cielo terso in primavera che disvela una forma antica che ogni volta che arriva il disgelo assume la montagna: la principessa indiana, che accompagna col suo sguardo i bufali che ritornano nella valle.
Questo posto esiste davvero e non è l’America mainstream, moderna, all’avanguardia, non è New York, non è Los Angeles, non sono i grattacieli né le strade scintillanti di Hollywood: è l’America più autentica, l’America rurale, quella legata a tradizioni e rituali che si ripetono da sempre in un conservatorismo asfittico.
La famiglia di Tara è mormona, una religione che nacque nell’Ottocento con un ‘profeta’, Joseph Smith. Questa religione si professa cristiana ma non è riconosciuta da cattolici e protestanti. I mormoni si insediarono nell’area delle Montagne Rocciose nel 1847, prediligendo la zona accanto al Grande Lago Salato.
Io prima di leggere questo libro non conoscevo né l’Idaho né il mormonismo e devo dire che entrambi hanno esercitato su di me un fascino inquietante per la così profonda diversità che hanno rispetto ai luoghi che ho vissuto e vivo e alla religione che ho vissuto e vivo.
La famiglia di Tara è di un fondamentalismo estremo e totalmente delirante.
Tara è cresciuta inscatolando pesche che servivano da provviste perché secondo il padre erano vicini i giorni dell’Abominio, una specie di giorno del Giudizio. Non è registrata all’anagrafe e non ha frequentato nessuna scuola perché secondo il padre lo stato è il male e allontana da Dio. Tara è cresciuta senza avere frequentazioni con altri bambini perché il mondo è pieno di apostati e la sua famiglia non va in ospedale e non prende medicine, MAI.
Tara ci racconta questo mondo fatto di un’unica verità farneticante che dilaga e si propaga anche negli altri componenti della famiglia, soprattutto nella madre e in uno dei suoi fratelli, Shawn, uomo profondamente violento e misogino che le infligge torture di ogni tipo.
Il padre di Tara lavora in una discarica dove rottama vecchie auto e ogni tanto costruisce fienili in giro per la regione. Diversi figli lavorano con lui e la vita di Tara sembra predestinata. Raccattare, trinciare e saldare rottami, lavorare nella discarica.
Ma noi siamo determinati dalla famiglia in cui ci accade di nascere, siamo una ripetizione dei traumi dell’infanzia o possiamo anche essere e diventare altro? E il passato ci condizionerà per sempre o possiamo torcerlo e risignificarlo dando ai traumi, ai pianti, al dolore, alla violenza subita, alle parole che ci vengono marchiate sulla pelle una direzione nuova?
Tara Westover, con la sua storia, che, ripeto, è scritta benissimo, mostra che le tracce
traumatiche del passato possono smettere di affliggere l’anima e il corpo, come dice Recalcati, “la vita del figlio ha sempre la possibilità di dare una forma nuova alla propria storia”.
Ma questo è possibile solo attraverso degli incontri. In una maniera del tutto inedita e anticonvenzionale Tara a 17 anni riesce a mettersi a studiare e ad essere ammessa in un college.
Da lì parte una nuova vita che non è una fiaba, non lo è per nulla, perché c’è un prezzo da pagare altissimo per quella scelta. Lo studio, l’educazione, i libri, l’istruzione le consentono di conoscere la possibilità di più lingue, più storie, più visioni, più interpretazioni, più verità, più domande e più risposte. Non esiste solo la violenza del fratello e la cecità mortifera del padre, non esiste solo la catena di una religione che non apre ma stritola, esiste il mondo con mille sfumature e tante narrazioni.
Ecco qual è il vero vaccino contro l’ignoranza del monolinguismo imposto da ogni forma di fondamentalismo: l’educazione.
L’educazione è la sola che riesca a combattere gli ‘ismi’ perché la sua essenza più propria è la sua capacità di traduzione. Forse si sarebbe potuto tradurre il titolo con la parola ‘istruzione’, ma a me ha convinto molto questa scelta perché è attraverso l’istruzione che Tara riesce ad immergersi nella sfera più ampia di incontri e storie che hanno una capacità educativa a tutto tondo.
Molte delle pagine di questo romanzo sono abitate inoltre da un dissidio che io ho visto un po’ come archetipico e che a me ha dato molto da riflettere: che si fa quando l’amore e quindi il senso del dovere che, nonostante tutto, si prova verso la propria famiglia ( la quale, anche se in modo del tutto disfunzionale, ti ama ) si scontra con il dovere che si ha verso il proprio personalissimo desiderio? E al senso di colpa che si incista nell’animo come un cancro che direzione si può dare? È destinato a prendersi tutto di te e a spezzarti in mille pezzi o si può sublimare in qualche modo? Io credo che Tara sia stata spinta a scrivere la sua storia per una sorta di imperativo categorico: rispondere a queste domande, scrivere il suo passato per dare una direzione al suo futuro. Ed è questa domanda che mi sono posta anche io leggendo il libro e che forse tutti a un certo punto ci siamo posti, nonostante le differenti contingenze, nelle nostre vite. È proprio vero che le storie ci aiutano a pensare, a risignificare, a riscrivere le pagine della nostra vita, è proprio vero che i libri ci leggono nel momento stesso in cui li leggiamo.
Questo libro mi ha insegnato che esiste una via per non spezzarsi o incepparsi nei sensi di colpa: quella via è il perdono e si perdona quando si diventa se stessi assumendosi la responsabilità del proprio desiderio.
“Mi sono liberata del senso di colpa quando ho accettato la mia decisione per quello che era, senza alimentare all’infinito vecchi rancori, senza mettere sulla bilancia gli errori di mio padre piuttosto che i miei. […] Ho imparato ad accettare la mia decisione per me stessa. […] Solo così potevo amare mio padre. […] Potete chiamare questa presa di coscienza in molti modi. Chiamatela trasformazione. Metamorfosi. Slealtà. Tradimento. Io la chiamo educazione”.